Qualcuno li chiama “lavoretti”. A me questa parola proprio non piace. Non sono “lavoretti”. Sono il risultato di un’attività che ha divertito, sì, ma anche impegnato i bambini. E di quel risultato sono orgogliosi e soddisfatti. Per questo lo donano con un gran sorriso a casa. In questo caso, abbiamo letto diversi haiku, abbiamo capito che cosa sono e come si scrivono. Ognuno ha tirato fuori le proprie emozioni pensando alla primavera e le ha trasformate in parole contando le sillabe. Quindi tutti gli haiku sono stati riscritti su una bacheca condivisa, con Padlet. Il link alla bacheca è stato associato a un QRcode, che, stampato, è stato incollato su un fiore. Ecco, due giorni di intenso lavoro non possono essere sminuiti e banalizzati parlando di “lavoretto”. Erano “lavoretti” i prodotti seriali, tutti uguali al prototipo dell’insegnante. Da un bel po’ la scuola ha capito che si può sfruttare l’occasione delle feste per attivare dei piccoli compiti di realtà, autentici e sfidanti.
Qualcuno li chiama lavoretti. Forse perché pensano a “dettati operativi”.E invece, sono occasioni buone per mettere in gioco creatività, autonomia, competenze, motivazione e scelte personali.
#solocosebelle